Ha già affrontato e inciso il repertorio per piano-pédalier di Gounod: una prosecuzione, quindi, del lavoro?
Direi di sì, lo vedo come un percorso del tutto naturale; d’altronde ho iniziato la mia carriera discografica all’insegna delle rarità, con musiche di Petrassi, quindi con Dallapiccola e poi sono passato a Mendelssohn, con l’integrale per pianoforte solo. Gounod, per molti versi, è il corrispettivo francese di Mendelssohn: è evidente scorrendo la tracklist del disco, dove troviamo una Barcarola veneziana all’inizio, quindi le Sei romanze senza parole e, infine, i Sei preludi e fughe. Non va dimenticato, infatti, che anche il tedesco scrisse Sei preludi e fughe, la sua op. 35; storicamente Gounod conobbe la musica del collega tramite l’incontro personale con Fanny, che frequentò durante il soggiorno a Roma e di cui fu amico. Fanny gli fece scoprire il Clavicembalo ben temperato di Bach – che Felix tanto amava – che è alla base della Méditation sul Primo preludio, versione originale, senza parole, di quella che otto anni dopo diventò la celeberrima Ave Maria.
Anche la scrittura pianistica risente di quella mendelssohniana?
Certamente sì, è un pianismo non dimostrativo, non virtuosistico, in cui è centrale la trasparenza, la chiarezza del contrappunto, nonché un lirismo terso, lineare, mai drammatico. Ovviamente Mendelssohn era un grande pianista – benché non un rivoluzionario come Liszt – e Gounod non lo era per niente: in questo senso mi ricorda Rossini, che nei suoi Péchés de vieillesse si compiace di non essere «pianistico» e, anzi, di essere un po’ rétro, ma che però nella sua scrittura dissemina insidie, passi poco «funzionali». Certo, Gounod non è mai volutamente antipianistico come Rossini: però nella Sonata a quattro mani troviamo momenti che richiedono notevole brillantezza ed energia. Un virtuosismo, però, sempre di stampo Biedermeier, che non fa tesoro della lezione di Liszt o Chopin.
Queste composizioni coprono un ambito temporale di oltre 50 anni: possiamo intravedere un’evoluzione stilistica?
Qualcosa cambia fra il brano a quattro mani – scritto nemmeno trentenne – e le pagine della tarda età, ma non la vedrei come una progressione stilistica, semmai una tendenza all’essenziale, alla rarefazione. Nella Marcia funebre di una marionetta, degli anni ’70, c’è un’idea di staticità del tutto nuova.
Questo CD è il prologo ad un’integrale della musica pianistica di Gounod?
Bisogna dire che questa musica è di difficile reperimento, non si trova in commercio: il Palazzetto Bru Zane (che sta preparando un’edizione a stampa della Sonata a quattro mani, al momento solo manoscritta) mi ha aiutato moltissimo in tal senso. Io ho studiato tutti i brani per pianoforte solo composti da Gounod, e inciderli tutti avrebbe richiesto altri venti minuti al disco: avrei quindi potuto omettere il brano a quattro mani, ma ho preferito lasciare da parte i pezzi puramente d’occasione, o che erano semplici trascrizioni.
Non ha pensato all’uso di un pianoforte storico?
Ho considerato questa ipotesi, pur non avendo mai inciso un disco con strumenti storici; alla fine, però, ho trovato piu` stimolante affidarmi ad un pianoforte che ben conosco, il Fazioli, e con esso cercare un’articolazione più trasparente, un suono diverso. Bisogna evitare sia di banalizzare l’esecuzione, sia di scadere nel sentimentale, nel manierismo; e, nei due brani notissimi – la futura Ave Maria e la Marcia funebre – ho cercato di togliere quella patina «commerciale », staccando ad esempio un tempo molto più lento (che poi è quello che Gounod indica) per la «marionetta », che acquista così un carattere più grottesco. E la Méditation è più intima, pianistica che operistica e vocale: è proprio un’altra cosa. Quindi questa musica apre prospettive verso la musica francese del Novecento? In un certo senso sì: la Barcarola anticipa Fauré, la Marcia funebre apre le porte all’essenzialita` di Satie, al suo uso del silenzio, della staticità.
Quali altri progetti discografici la attendono, oltre al completamento dell’integrale mozartiana?
Io lavoro sempre su vari progetti contemporaneamente, per non perdere la freschezza. Mi sto dedicando alla musica da camera con Shlomo Mintz, con il quale probabilmente incideremo le Sonate di Mendelssohn e musica del ‘900 per DG; per Decca sono in uscita i Concerti 1 e 2 (oltre al Rondò Brillant) di Mendelssohn con la Residentie Orkest de L’Aja diretta da Jan Willem de Vriend. All’inizio di giugno (8 e 10) suonerò con la Verdi di Milano il Concerto per pedalpiano di Gounod, dopo essere stato in Cina per un progetto – sviluppato con Cremona Musica – cui tengo molto: una mostra e un festival pianistico dal titolo «Italian Piano Experience», che è partito il 17 maggio con una mostra sulla tastiera italiana da Cristofori a oggi, con l’esposizione di strumenti originali e copie, per ribadire come la musica e la cultura occidentale furono esportati in Cina da italiani come Marco Polo, Matteo Ricci (che portò un cembalo) e, più tardi, da Mario Paci, che insegnò pianoforte a Fou Ts’ong. E poi si sono svolti sei concerti, con la partecipazione mia e di giovani pianisti italiani che stimo, come Leonora Armellini, Mariangela Vacatello, Vanessa Benelli Mosell e Axel Trolese.