I due Concerti per due pianoforti e orchestra sono tra le opere meno note ed eseguite di Felix Mendelssohn e sono rimasti inediti fino al 1960, data della pubblicazione dell’edizione Breitkopf a cura di Karl- Heinz KohlerKööhler. Felix Mendelssohn ha composto entrambi questi concerti come regalo di compleanno per la sorella Fanny (1805 – 1847), anch’ella grande virtuosa della tastiera. La componente ludica che caratterizzava il rapporto tra i due giovani fratelli (testimoniato anche dalle numerose lettere) permea anche i dialoghi serrati tra i due strumenti, animati da elementi umoristici e bruschi sbalzi di registro. La scrittura di entrambi i Concerti è, naturalmente, anche ricca di passaggi di bravura, pensati anche per mettere in luce le abilità pianistiche della dedicataria, ma anche dello stesso Felix.
Nel 1823, Mendelssohn aveva già scritto altri tre concerti, tutti pubblicati postumi: il Concerto in la minore per pianoforte e archi MWV O 2 (1822), il Concerto in re minore per violino e archi MWV O 3 (1822) e il più noto Concerto in re minore per violino, pianoforte e archi MWV O 4 (1823). I due Concerti per due pianoforti e orchestra rappresentano, però, un importante passo avanti rispetto ai precedenti, per qualità dell’orchestrazione e ricchezza espressiva.
Il Concerto MWV O 5 in mi maggiore fu completato nel novembre 1823, in tempo per il diciottesimo compleanno di Fanny del 14 novembre. La prima esecuzione ebbe luogo il 7 dicembre 1823, nell’ambito delle “Domeniche musicali” che la famiglia Mendelssohn organizzava presso la loro casa a Berlino, con i due fratelli al pianoforte e con un’orchestra formata da musicisti professionisti ingaggiati dal padre Abraham. Del primo movimento del Concerto in mi maggiore esiste una prima versione, quella probabilmente eseguita in casa Mendelssohn nel 1823, che comprendeva circa 90 battute in più nel primo movimento. Lo stesso compositore, in occasione dell’esecuzione a Londra il 13 luglio 1829 assieme a Ignaz Moscheles, decise di sfoltirlo notevolmente, nell’intento di ottenere una fisionomia più snella e lineare. È qui eseguita la versione rivista dall’autore, e pubblicata postuma da Breitkopf nel 1960. Rispetto ai tre precedenti Concerti composti da Mendelssohn, la scrittura sinfonica del giovane compositore è qui più evoluta: la trasparenza della trama orchestrale e la sapienza contrappuntistica emergono con una naturalezza poetica che lascia presagire le finezze che troveremo qualche anno più tardi nell’Ouverture del Sogno di una notte di mezza estate, anch’essa in mi maggiore.
I due pianoforti solisti sono spesso trattati in modo antagonistico, con temi esposti prima da uno e poi dall’altro, quasi a volere mettere a confronto le abilità dei due esecutori. Ciò è evidente già nella prima entrata dei solisti: a ciascuno è affidata una cadenza, in cui il gesto virtuosistico si dipana retoricamente in rapidi arpeggi e scale che attraversano tutti i registri della tastiera.
Il secondo movimento è un cullante Andante in do maggiore in 6/8, in forma ABA. Qui Mendelssohn è già maestro nel dar vita a sonorità incantate, grazie ad una sapiente orchestrazione e all’uso raffinato dell’armonia. I due pianoforti appaiono separatamente: la prima sezione, più lirica, è affidata al primo pianoforte, mentre il secondo fa irruzione nella parte B, più agitata, in do minore. Molto poetico il ritorno variato della parte iniziale, in cui i due pianoforti suonano finalmente insieme, in un incantato tappeto di delicate terzine su cui si staglia il tema iniziale, esposto dall’orchestra. Il terzo movimento è un esempio del virtuosismo leggero, dal carattere quasi “elfico”, tipico del pianismo mendelssohniano. I due solisti assumono qui caratteri differenti: più virtuosistico e leggero il primo, più lirico il secondo, per poi fondersi nel concitato finale.
Il Concerto MWV O 6 in la bemolle maggiore è stato scritto nel 1824 per il diciannovesimo compleanno di Fanny e presenta una scrittura sinfonica ancora più sfarzosa, giocando su masse strumentali giustapposte: uno stimolante esperimento di orchestrazione per il compositore quindicenne. Se i Concerti di Mozart potevano essere stati un modello per il Concerto in mi maggiore, qui il riferimento più vicino sembra Beethoven (ed Hummel), sia per il carattere grandioso del primo e del terzo movimento, sia per la densità della scrittura pianistica, che fa maggior uso di raddoppi e parti accordali, con i due pianoforti che dipanano rapide scale o arpeggi per terza o per sesta. Non è un caso, forse, che Mendelssohn inserisca frequentemente il celebre motivo ritmico dell’incipit della Quinta di Beethoven nel primo movimento di questo Concerto.
Il secondo movimento è anche qui scritto in una tonalità lontana (mi maggiore) una terza maggiore al di sotto la tonalità d’impianto: proprio come nell’altro Concerto e nell’Imperatore di Beethoven. Mendelssohn riproporrà un’atmosfera analoga (ancora in mi maggiore) nell’Andante del suo Concerto op. 25 per pianoforte e orchestra. Il terzo movimento ritorna al carattere grandioso: l’inizio, dall’incedere baldanzoso e trionfale, è affidato ai due pianoforti, con largo uso di accordi e doppie terze. Lo stesso incipit riappare poi in un articolato fugato, che tornerà in forma invertita nella successiva apparizione. Non mancano le trovate umoristiche, come i repentini sbalzi di registro e gli ammiccamenti tra i due solisti nei frequenti momenti di “botta e risposta”, che si fanno ancora più serrati nella infuocata Coda finale.
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Come nella precedente incisione dei Concerti per pianoforte, anche qui abbiamo adottato un approccio stilistico storicamente informato, con un minimo uso del vibrato negli archi e con grande attenzione agli effetti retorici presenti nella scrittura mendelssohniana. Conseguentemente, abbiamo scelto di suonare due nuovissimi pianoforti Chris Maene a corde parallele, la cui trasparenza si avvicina molto alle sonorità dei pianoforti dell’epoca di Mendelssohn e ben si amalgama con il suono delle trombe e corni naturali della Residentie Orkest.
Il nostro intento è di restituire a questi Concerti la loro peculiare vivacità, l’estro e il senso ludico che abbiamo potuto provare in prima persona durante le sessioni di incisione, grazie alla particolare complicità con Jan Willem de Vriend e con la Residentie Orkest. Del resto, anche lo stesso Mendelssohn si divertì non poco nel suonare il Concerto in mi maggiore, come testimonia la sua lettera al padre, scritta da Londra nel luglio del 1829: “Non c’era fine al divertimento! Non ti puoi immaginare quanto abbiamo “civettato”, come ognuno di noi imitasse costantemente l’altro!”.
Roberto Prosseda